MILANO E LA MODA

Che Milano sia oggi considerata “Città della moda” è un fatto noto e condiviso ormai in tutto il mondo. Ma il percorso che ha portato il capoluogo della Lombardia, a diventare un punto di riferimento internazionale per la moda e tutto ciò che ad essa è riferito, è stato lungo e complesso. 

Il 1935 e Torino hanno segnato il punto di partenza che ha portato la città a questo primato. In questo anno nacque infatti l’Ente Nazionale della Moda Italiana con l’obiettivo di promuovere la moda dell’Italia a livello nazionale e internazionale. In questo periodo l’unico vero brand italiano all’estero era quello di Salvatore Ferragamo.

Tra il 1945 e il 1960, grazie alla forte ripresa del mercato, cominciarono a tenersi importanti sfilate anche a Milano, Roma, Venezia ed iniziò pian piano a crearsi una divisione dei compiti: Firenze si dedicò alla moda-boutique (che consisteva nell’abbigliamento realizzato in piccoli laboratori artigiani e venduto negli atelier spesso di proprietà di famiglie nobili e alto-borghesi), Roma si specializzò nell’alta moda mentre Torino e Milano cominciarono a produrre i primi abiti di confezione, in francese chiamati capi prêt-à-porter: abiti cuciti in taglie standard e pronti per essere indossati. Fino al 1956 chi voleva un abito doveva andare dal sarto che confezionava un vestito su misura, per cui gli abiti di sartoria rappresentavano l’80 per cento dell’intero fabbisogno di abbigliamento. E questo valeva per tutti gli strati sociali: dai grandi industriali agli operai fino alla gente comune che in questo modo, a volte, potevano permettersi un solo completo in tutta la propria vita.

Il Boom economico prima e la rivoluzione studentesca dopo, furono i contesti economico-sociali che cominciarono a far cambiare le cose. A questi, per Milano, se ne affiancò uno singolare: il capoluogo meneghino era nel frattempo diventato anche sede dei principali editori italiani come Rusconi, Mondadori e Rizzoli. Questo fece sì che la moda si trasformasse in quegli anni  in un’industria culturale, a metà fra l’impresa manifatturiera classica e l’industria intellettuale e Milano fu l’unica città ad avere gli strumenti per poterla promuovere. Negli anni Settanta la moda e l’abbigliamento diventarono simbolo di affermazione sociale, vennero usati come strumenti di protesta e appartenenza politica, furono oggetto di saggi di sociologia e tema fondamentale in  riviste di vario genere. “Milanovendemoda” nacque proprio in questi anni e anticipò quelle che sono le attuali fashion week. Nel 1978 Giorgio Armani (nato a Piacenza, ma milanese d’adozione) vestì Diane Keaton per la notte degli Oscar e nel 1980 Richard Gere per l’interpretazione del film “American Gigolo”, diventando il più riconoscibile simbolo mondiale della Moda Milanese.

A permettere il sorpasso di Milano su tutte le concorrenti furono quindi il successo del prêt-à-porter e la sua affermazione a livello mondiale, alle quali contribuì l’editoria di settore. Breve fu poi il passo che fece diventare la città capitale della moda a livello mondiale e simbolo di un periodo di successi. Il capoluogo lombardo mantenne la propria leadership per gran parte degli anni Novanta, con l’affermazione di nuovi brand come Prada e, insieme a Parigi, Londra e New York rimane oggi fra le quattro grandi città più importanti che rappresentano il settore, restando per l’Italia “la città della Moda”. 

Secondo i dati della Camera di commercio di Milano, Monza e Lodi, solamente le due “fashion week” generano un indotto di circa 350 milioni di euro.

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